Il mantra degli ultimi anni è la necessità di applicare il ROI allo sport. L’acronimo ROI significa Return on investment, letteralmente “il ritorno dell’investimento”. È una delle metriche più importanti da misurare nel business, un indice di performance indispensabile per valutare l’efficacia di un’azione di marketing ed è derivato dal mondo della finanza. Ma ciò che può sembrare scontato per un’azienda tradizionale diventa difficile da pensare per un aspetto della vita come lo sport che si basa su elementi imponderabili e difficilmente misurabili come la passione e le emozioni. Perché questa premessa? Perché questa componente passionale ha spinto un imprenditore come Raffaele Moxedano a tuffarsi anima e corpo nel beach soccer fondando il Napoli BS. Anche una società di beach soccer deve rispondere a delle logiche aziendali e allora insieme a Raffaele abbiamo trovato un buon compromesso, il ROI delle emozioni.
“Lo sport e soprattutto il beach soccer è un investimento atipico – sorride Raffaele – Si nutre di passione ed emozioni ma non può prescindere da una gestione razionale. Per me è nato come un gioco, nel 2015 insieme ad Andrea Sannino, quando provammo a giocare un campionato di Serie B con l’Hermes Casagiove. La prima esperienza assoluta sulla sabbia, fu amore a prima vista. Eravamo un gruppo di amici che volevano uscire dai binari del calcio a undici per provare qualcosa di nuovo. Arrivammo alle finali di Viareggio teatro anche delle Final Eight della Serie A. Fummo colpiti dall’organizzazione di alto livello, un evento vero e proprio che non aveva nulla da invidiare agli altri sport. Decisi che dovevo farne parte, in quel momento il divertimento fece spazio alla mia inclinazione manageriale, così nacque il Napoli”.
Negli ultimi anni il Napoli è la società ha investito di più in questa disciplina, tanti talenti internazionali e un centro sportivo, ci spieghi il progetto Napoli-Beach Soccer?
“Sono stato un calciatore professionista e so che per migliorare nello sport bisogna competere con i più forti. Se giochi con chi è più bravo di te puoi crescere, l’ho fatto nel calcio professionista e l’ho voluto ripetere nel beach soccer. Gli stranieri hanno aiutato ad alzare il livello anche degli italiani, abbiamo imparato da loro per poi camminare sulle nostre gambe. Abbiamo fatto scelte precise puntando su quei campioni che hanno portato un valore aggiunto a tutti. Perché in partenza i giocatori del Napoli erano tutti provenienti dal calcio tradizionale adattati sulla sabbia. Così siamo riusciti a migliorare velocemente imparando in fretta i segreti di questo sport”.
L’investimento sul centro sportivo è un primo passo importante per creare un’Academy? Anche questa disciplina ha bisogno di un settore giovanile? Come svilupparlo?
“L’approccio manageriale l’ho ereditato da mio padre che è stato Presidente di diverse società di calcio. Mi ha insegnato che per mettere a sistema una disciplina bisogna prima costruire le basi, le strutture migliori. L’atmosfera della spiaggia è meravigliosa ma anche il beach soccer non può sfuggire alle logiche degli altri sport che si basano su poli di attrazione funzionali, aperti e disponibili tutto l’anno. Abbiamo dato una casa al Napoli BS e abbiamo creato un punto di ritrovo per gli appassionati avvicinandoci quanto più possibile al bacino sterminato di Napoli che vive per il calcio. Un centro sportivo rappresenta le fondamenta per far crescere questa disciplina con un progetto ben definito che poggia su delle basi importanti. Chi viene a giocare da noi, anche ad un altro sport, può appassionarsi al beach soccer e così possiamo dare la linfa a questo sport per costruire la nazionale del futuro e i campioni della Serie A. Non possiamo continuare ad adattarci alla sabbia, dobbiamo formare giocatori di puro beach soccer come fanno gli altri paesi”.
Agli storici giocatori italiani che sono cresciuti con voi fin dal 2016, e anche prima, avete aggiunto campioni di caratura mondiale. Come avete sviluppato questa transizione?
“E’ avvenuto tutto per gradi. Insieme ad Andrea ed a un gruppo di amici abbiamo fondato il club. Il secondo anno di vita del Napoli, il primo per me sulla sabbia, abbiamo conquistato le Final Eight spinti dall’entusiasmo. Abbiamo capito che dovevamo costruire una squadra in cui fondere il talento dei campioni internazionali con la forza dei giocatori meno talentuosi ma più attaccati alla maglia. E’ un aspetto fondamentale perché durante lo svolgimento della Serie A gli stranieri a volte sono impegnati in altri eventi internazionali con le rispettive nazionali. Un forte gruppo costruito in casa può sostituirli adeguatamente dando continuità al lavoro, quella continuità che è mancata negli ultimi anni al Napoli facendoci sfuggire per un soffio la qualificazione alle finali”.
Torniamo al punto focale, come si sta strutturando il Napoli come società? E’ una famiglia o un’azienda?
“Puntiamo ad essere un’azienda ma con un cuore. Il Centro sportivo che abbiamo costruito è polivalente, comprende tante discipline, la gestione manageriale è d’obbligo. Ma non vogliamo rinunciare a quel clima familiare che ha sempre contraddistinto ogni mia attività, costruzioni, ristoranti, sale bingo etc. Sono cresciuto con mio padre con l’idea che un’azienda può essere anche una seconda famiglia. Se c’è equilibrio tra le due anime allora nasce qualcosa di unico. L’entusiasmo e la fiducia che si respirano all’interno delle mie aziende sono quelli che ritroviamo nella famiglia ma per puntare in alto c’è bisogno di una struttura aziendale. Anche il Napoli risponde a questo principio. Nel beach soccer il ROI delle emozioni è possibile”.
Nelle vostre quattro stagioni in A vi siete qualificati una volta per le Final Eight sfiorandole nelle altre tre occasioni. Cos’è mancato al Napoli per colmare il gap con gli storici grandi club?
“Credo soprattutto l’esperienza di giocare a certi livelli e la continuità del lavoro, due problemi risolti. Per il resto il Napoli è magico, chi sposa la nostra causa se ne innamora e non vuole più lasciarci. La passione che ci trascina è tanta e i nuovi arrivati la sentono. Torniamo sempre allo stesso argomento, la professionalità nello sport è essenziale ma senza il cuore non vai da nessuna parte”.
Cos’ha di speciale il beach soccer per te? Perché un ragazzo dovrebbe praticare questa disciplina?
“E’ una bella alternativa al calcio tradizionale, i giovani possono costruirsi un percorso importante. E’ uno sport che fa bene al corpo, regala grandi soddisfazioni e richiede tanta dedizione. Un ragazzo con il beach soccer lavora sodo e costruisce una struttura fisica importante utile anche per altre discipline, qualunque siano poi le sue scelte future”.
Questo sport è cambiato molto velocemente negli ultimi anni, in quali aspetti secondo te?
“E’ una disciplina in continua evoluzione. Agli inizi era molto condizionato dal calcio tradizionale ora è diventato uno sport a parte, distante dal calcio. Adesso se non conosci i fondamenti tecnico tattici del beach soccer non puoi neanche iniziare a confrontarti con gli altri. Il gioco si è velocizzato talmente tanto che non puoi affidarti ai tempi del calcio tradizionale, devi dimenticarli e calarti in un’altra dimensione. Un centro sportivo come quello che abbiamo costruito, con un clima mite come quello di Napoli, ci permette di lavorare tutto l’anno perché siamo consapevoli che il beach soccer non si può improvvisare”.